William Tode

Personaggio di grande vitalità, laborioso, ottimista, Tode è un cultore del mondo classico, che ha le sue radici culturali nel mondo rinascimentale, cui partecipa con la intensa vitalità del colore e la tenacia della continua ricerca, estetica, storica, tecnica.
IL suo ottimismo sta nella fiducia incondizionata che pone nella ricerca, nell’inerpicarsi su nuove strade, sempre storicizzate, e sulla capacità di reinterpretare linguaggi e formule, con rispetto, ma per andare oltre, alla sua maniera, pur riconfermandone la indiscutibile validità.
Pittore, scultore, grafico, mosaicista, ceramista, storico dell’arte, musicista e compositore, William Tode in sessant’anni di intensa attività ha saputo sempre rinnovare la sua arte.
E’ stato inoltre scenografo, attore di cinema e di teatro, lavorando, tra gli altri, con Roger Vadim, Luchino Visconti, Vittorio De Sica e, per sei anni, nella compagnia teatrale di Giancarlo Sbragia.
A nove anni già esponeva con Borgonzoni, Zigaina, Birolli, Murer, Manzù, Guttuso, Zancanaro, Treccani. “Eri il più giovane di noi neorealistici – gli scriverà qualche anno dopo in una nota affettuosa Renato Guttuso – . E accanto a Zigaina, Treccani, Birolli, Borgonzoni e a me, affinavi l’esperienza umana e sociale, e maturavi la tua personalità artistica dotatissima di una abilità disegnativa rara, matura, degna di un veterano”.
Nel 1955, a Parigi, William Tode conobbe Giovanni March, e divenne suo amico. March gli fece conoscere Picasso, Braque e Severini.
Il giovane artista cominciò a fare ricerche sugli stilemi del cubismo ermetico e orfico, e sul futurismo. E frequentò assiduamente la Nouvelle Athène, la cave dove si riunivano Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir e gli altri esistenzialisti francesi.
Nel 1958 Tode tornò a Roma. Riprese i contatti con i suoi amici neorealisti. E con loro tornò ad esporre le opere che prendevano ispirazione dal degrado sociale e urbano della periferia di Roma, “con una intensità drammatica sconosciuta prima di lui”, come scrive in un bellissimo saggio Giulio Carlo Argan.
Negli anni Sessanta Tode fondò il ‘Nuovo Gruppo Valori Plastici’, a cui aderirono grandi maestri dell’arte contemporanea.
Fondò inoltre ‘La scuola romana della Pop Art’.
Negli stessi anni curò una mostra di Henry Moore, a Poggio Imperiale, a Firenze, divenendo amico del grande scultore inglese. E lo invitò a partecipare, nel 1981, alla mostra celebrativa del bimillenario di Virgilio, a Mantova. La mostra, curata da William Tode con la collaborazione di Ettore Paratore, Carlo Bo e Giulio Carlo Argan, venne inaugurata dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Negli anni settanta Tode viene divene direttore di “casa Vasari” ad Arezzo, frugando negli archivi polverosi ove sono conservate le carte e i manoscritti originali di Giorgio Vasari, Tode rinviene in un plico, mai inventariato e studiato da alcuno, le ultime ventisette lettere che Michelangelo Buonarroti scrisse al suo “amico messer Giorgio”, nel periodo in cui stava lavorando al suo testamento artistico, la Pietà Rondanini.
Quelle lettere sono di una importanza assoluta, poiché ci rivelano la condizione umana e morale del vecchio Michelangelo, ammalato e solo, abbandonato da tutti, dai parenti e dagli allievi.
Grazie a questa importante scoperta, William Tode si trasferisce a Firenze dove viene nominato direttore dell'ufficio studi del museo degli Uffizi, Gli sono affidati i lavori per il progetto di restauro di ville medicee, come quella di Cerreto Guidi, ed esegue disegni architettonici come se fossero dei cartoni per affreschi.
Lavorando ancora una volta per il suo Michelangelo nel restauro delle Tombe Medicee, gravemente danneggiate dall’alluvione, mentre esegue dei saggi nel pavimento marmoreo, Tode rinviene una scala segreta, murata. E riporta alla luce alcuni eccezionali disegni murali, realizzati a carbonella da Michelangelo: sono studi per sculture, schizzi di teste, ipotesi di figure per le tombe, di cui nessuno aveva mai avuto conoscenza.
William Tode si prodigò per poter ascrivere ed attribuire a Michelangelo la paternità di quegli schizzi; gli ‘specialisti’ ritenevano, invece, che fossero opere di un manierista, forse del Giambologna.
Sono trascorsi quarant’anni ormai. E finalmente la critica più avveduta ha consegnato a Michelangelo la paternità assoluta di quei disegni murali.
I restauri architettonici di Santa Maria del Fiore, dopo l’alluvione, hanno rivelato agli studiosi la realtà di Santa Reparata, la piccola basilica romanica edificata sulle rovine di un tempio pagano, che Arnolfo di Cambio aveva letteralmente seppellito sotto la pavimentazione della sua immensa cattedrale. Indagando tra le rovine e i reperti ammassati, Tode riporta alla luce la tomba di Filippo Brunelleschi, un modesto sarcofago di pietra arenaria, su cui è incisa questa iscrizione: “Hic corpus est probo viri…”Nei pressi delle fondazioni del Campanile di Giotto, Tode ritrova altri sarcofagi, anonimi. In uno di essi, nonostante non ci sia alcuna iscrizione, intuisce che possono esserci le spoglie di Giotto. Studi successivi confermano la sua intuizione: quelle spoglie, molto probabilmente, appartengono a Giotto.
Prima di lasciare la sua amatissima Firenze, per un ulteriore incarico, Tode elabora, insieme ad altri due suoi colleghi architetti, il progetto Grandi Uffizi, allo scopo di ripristinare l’antico camminamento attraverso il ‘corridoio vasariano’, Ponte Vecchio, per giungere così, senza uscire dalla dimensione museale, direttamente ai Musei di Palazzo Pitti.
Il progetto viene presentato con l’allestimento di una mostra presso l’Accademia del Disegno in Piazza San Marco, inaugurata dal ministro Giovanni Spadolini, responsabile del neonato ministero dei Beni culturali.
Solo a distanza di venticinque anni dalla presentazione di quel progetto, allo scadere del secondo millennio, prenderà il via la fase esecutiva dei lavori.
A partire dal 1980 il neorealismo di William Tode, definito da Argan “neo romantico estetico e psicologico”, entrò in crisi. E l’artista tornò a recuperare gli stilemi cubo futuristi, iniziando contemporaneamente le ricerche sulle analogie tra musica e colore.
William Tode è anche un grande affreschista. Ed ha rilanciato e rinnovato, dopo oltre quarant’anni di ricerche e di sperimentazioni, l’antica tecnica dell’encausto, creata dalla civiltà egizia oltre 3700 anni fa.
Su Tode hanno scritto saggi importanti numerosi critici, tra i quali Mario Salmi, Giulio Carlo Argan, Giulio Migliorini, Dario Micacchi, Duilio Morosini, Marcello Venturoli, Cesare Brandi e Franco Solmi.
E’ una pittura solare e piena di colori, potente e plastica, drammatica e dolce, suadente e musicale. Una pittura che entra nell’anima, e penetra negli abissi della coscienza, “carica di una violenza disperata”, come scrive Argan, ma anche di una dolcezza infinita.

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